SCRITTORI E GUSTO URBANO FRA SETTECENTO E OTTOCENTO
di: Francesco Iengo a cura di Mario Della Penna
Entra nella sezione FILOSOFIA

Se vuoi comunicare con Mario Della Penna: mariodellapenna@theorein.it
Capitolo X (II parte)

LA CITTA' DEI ROMANTICI

b) La città di Leopardi

E' comunque un dato di fatto che dai testi di Leopardi su Roma scompare tutta una serie di tipicità settecentesche, quali il disgusto per la miscela di fasto e poveraglia che distingue la città, o l'entusiasmo per le rovine classiche, o la meraviglia per la colossalità di San Pietro, o l'ammirazione per l'entrata in città da Porta del Popolo.

Il 15 settembre 1823, vale a dire due mesi dopo il ritorno a Recanati dal primo soggiorno romano, Leopardi scrive una pagina dello Zibaldone in cui chiarisce (prima di tutto a se stesso) perchè i modi moderni di costruire, siano inferiori agli antichi. Il costruire moderno gli appare "caduco" e di prospettiva breve, perchè, mentre il costruire antico era figlio d'un umanità dalle "grandi illusioni", e perciò mirava all'eternità, il nostro è figlio d'un età "disingannata", quasi esausta dal trascorrere dei secoli, e che perciò, non può non pensare che al presente. Fra questi due modi per così dire estremi, c'è poi quello dei "bassi tempi" (cioè del Medio Evo), in cui si trovano tanti segni delle "antiche illusioni" quanto del "sopravvegnente disinganno" moderno - certo, però, la solidità di queste opere medievali non è essa stessa nemmeno paragonabile "con quella degli edifizi pubblici o privati del Cinquecento, in Italia massimamente". (251)

Riconosciamo subito, in tutto questo un'intera serie di presenze. C'è naturalmente, dal vichismo, come c'è del lucrezismo, ma c'è anche quella critica ai tempi moderni rispetto agli antichi, un esempio della quale abbiamo sorpreso fin nei "libertini" Sade e Casanova. Questa pagina, dunque, non interrompe certo il rapporto che resta comunque assai stretto, fra Leopardi e il Settecento. Essa tuttavia, è fatta di ragionamenti che, comunque, finiranno col sostanziare anche il romanticismo indubbiamente già maturo di un Gautier (per esempio), (252) e pare proprio che passi anche da affermazioni come queste la stessa, celebre svalutazione ruskiniana di tutta l'arte dal Rinascimento in avanti; per non parlare addirittura d'un Nietzsche, il quale, negli anni Ottanta dell'Ottocento, non solo riprende, appunto, l'ideologia secondo la quale per noi moderni sarebbe sensato non più costruire per i secoli come gli antichi ma solo per un periodo breve come la nostra vita, ma attribuisce anche tutto ciò al dileguarsi, presso di noi, delle opinioni metafisiche, soppiantate dalla scienza (anche se poi mostra di non disperare che, sia pure in una prospettiva non breve (253), qualche opera "eterna" possa edificarsi anche malgrado il dominio di questa scienza):

«Uno svantaggio essenziale che porta con sè il dileguarsi delle opinioni metafisiche consiste in questo, che l'individuo restringe troppo severamente il suo sguardo ad un breve periodo di vita e non sente più impulsi forti e costruire istituti durevoli, stabiliti per i secoli; vuole cogliere egli stesso i frutti dell'albero che pianta, e perciò non può più piantare quegli alberi che esigono per secoli una cura regolare e sono destinati a spargere ombra sopra una lunga serie di generazioni. Poichè le opinioni metafisiche apportano la credenza che in esse sia dato l'ultimo definitivo fondamento sul quale ormai tutto l'avvenire dell'umanità debba necessariamente fondarsi e costruirsi; l'individuo affretta la sua salvezza quando ad esempio fonda una chiesa, un chiostro, egli pensa che ciò gli verrà calcolato e remunerato nell'eterna sopravvivenza della sua anima, è un lavoro che serve alla salute eterna dell'anima. - Può anche la scienza destare una simile credenza nei suoi risultati? In realtà essa ha bisogno del dubbio e della diffidenza come dei suoi più fedeli alleati; tuttavia la somma delle verità intangibili, cioè sopravviventi a tutte le tempeste dello scetticismo, a tutte le analisi, può col tempo diventare tanto grande (ad esempio nella dietetica della salute fisica) che ci si decida a fondare su di esse opere "eterne"...» (254)

Va da sè che l'illuminismo aveva ragionato, anche su questo punto, in termini praticamente opposti. Un esempio di questo illuminismo può essere invece considerato questo passo di Giuseppe Pecchio su Londra, città ch'egli sorprende nel momento in cui pure più forte, su di essa, si fa sentire l'effetto della prima rivoluzione industriale:

«Ecco i vantaggi che (gli inglesi) ritraggono dall'abitare in case piccole e di non molta durata. D'ordinario una casa non è fabbricata che per 99 anni. Se sopravvive a questo termine rimane al padrone del suolo su cui è edificata. Accade dunque di contrario alcune volte si sfasciano prima della loro fine naturale. Gl'Inglesi che sono migliori aritmetici che architetti hanno ritrovato che con questa labile architettura impiegano un minor capitale, e quindi l'annuo interesse e suo deperimento annuo sono anche minori. Avvi un altro vantaggio. In questo modo non si vincolano nè tiranneggiano i posteri. Ogni generazione può scegliere e fabbricarsi la sua abitazione a proprio capriccio, e secondo i suoi bisogni (...)» (255).

Si tratta di quella visione aridamente "economicistica" (o "mercantilistica") contro la quale, appunto, sta reagendo il primo Romanticismo, e in funzione antitetica della quale si edificherà gran parte dello stesso edificio filosofico di un Nietzsche. Occorrerà arrivare almeno al Futurismo (1909) perchè, nel campo dell'arte e dell'umanesimo in genere, quelle visioni vengano riprese e sostanzialmente rivalutate. Ma perchè nasca il Futurismo stesso sarà a sua volta necessario un ulteriore salto di qualità dentro la rivoluzione industriale, e cioè quello legato, specificamente, alle novità costituite dal motore elettrico e dal motore a scoppio.

Del 1825, sono due lettere di Leopardi al fratello Carlo a Recanati, con due giudizi su Milano, il primo dei quali conferma, in sostanza, quanto sappiamo:

«Milano non ha che far niente con Bologna. Milano è uno speciem di Parigi, ed entrando qui si respira un'aria della quale non si può avere idea senza esservi stato. In Bologna nel materiale (e nel morale) tutto è bello e niente è magnifico; ma in Milano il bello, che vi è è in gran copia, è guastato dal magnifico (e dal diplomatico anche nei divertimenti)...Milano nel materiale (e nel morale) è tutto un giardino delle Tuileries. Ma tu sai quanta inclinazione io ho ai divertimenti» (256).

Rilevato quanto il paragone fra Milano e Parigi sia, per ovvii motivi, libresco, più interessante è il secondo giudizio milanese, perchè Leopardi sembra cogliervi una "verità" della città grande che ritroveremo in una pagina quasi coeva di Heine su Berlino:

«(Milano è un luogo) dove centoventi mila uomini stanno insieme per caso come centoventi mila pecore» (257)

Finchè, con un'ultima nota dello Zibaldone (del 1828), Leopardi parrebbe gettare un ponte ulteriore verso il Romanticismo. Si tratta d'una oggettiva confutazione del canonico rapporto settecentesco fra larghezza delle strade ed altezza dei palazzi. La strada cui pensa Leopardi in questo luogo, parrebbe comunque apprezzata esattamente per il suo essere affatto indisponibile alla rappresentazione costituita dalle facciate dei palazzi, rappresentazione che, solum, quel rapporto sottintendeva:

«Nelle mie passeggiate solitarie per la città, suol destarmi piacevolissime sensazioni e bellissime immagini la vista dell'interno delle stanze che io guardo di sotto dalla strada per le loro finestre aperte. Le quali stanze nulla mi desterebbero se io le guardassi stando dentro. Non è questa un'immagine della vita umana, de' suoi stati, de' beni e diletti suoi? » (258)

In una lettera da Genova, anche Gustave Flaubert contraddirà allo stesso modo tutto il Settecento (che, delle strade della città, apprezzava solo la Strada Nova, trovando le altre insopportabilmente strette):

«I palazzi (di Genova) si uniscono gli uni agli altri, passando nella via si scorgono grandi soffitti patrizi tutti dipinti e dorati...(Penso sempre a questi soffitti) sotto i quali si amerebbe con tanto orgoglio». (259)

Nel loro gesto fondamentale, sono le stesse sensazioni della nota leopardiana, ma siamo ormai negli anni Quaranta dell'Ottocento - e il fatto che il testo di Leopardi risalga al 1828, non pare di poco conto.

Ecco dunque perchè si è ritenuto di rubricare comunque la città di Leopardi fra quelle già, in qualche modo, romantiche. E' insomma indubbio che il giro di idee in cui Leopardi resta chiuso praticamente per tutta la vita, sia in gran parte di tipo settecentesco. Ma è altrettanto indubbio ch'egli, di queste idee, sente la necessità di sottoporne a critica parecchie, finendo con lo smontare qualcuna addirittura delle fondamentali.

Data la situazione sua personale, e data la stessa situazione complessiva, nei tempi, del nostro Paese, tutto ciò non può essere considerato irrilevante: tanto più in quanto molti approdi del pensiero leopardiano, coincidono col pensiero di personalità contemporanea o successive, sulla cui globale novità di atteggiamento rispetto al "secolo dei lumi" nessuno oserebbe discutere.


(251) GIACOMO LEOPARDI, Zibaldone di pensieri, cit., vol. III, pp. 640-643.

(252) Leopardi (ibid.) scrive: "La portentosa solidità delle antiche fabbriche d'ogni genere, fabbriche che ancor vivono, mentre le nostre, anche pubbliche, non saranno certo vedute da posteri molto lontani; le piramidi, gli obelischi, gli archi di trionfo, la profondissima impronta delle antiche medaglie e monete, che passate per tante mani, dopo tante vicende, tanti secoli ecc., ancor si veggono belle e fresche, e si leggono, dove i conii delle nostre monete di cent'anni fa son già scancellati, tutte queste e tant'altre simili cose sono opere, effetti e segni delle antiche illusioni e dell'antica forza e dominio d'immaginazione".   

(253) Scrive per esempio Nietzsche sarcasticamente (vedi Il tempo delle costruzioni ciclopiche, in Il viandante e la sua ombra, cit., p. 287): "...Solo ora è l'epoca delle costruzioni ciclopiche! Finalmente abbiamo la sicurezza delle fondamenta sulle quali l'avvenire potrà costruire senza pericolo! E' d'ora inp oi impossibile che i fecondi campi della civiltà vengano di nuovo distrutti in una notte da selvagge e assurde acque di montagna! (...)". 

(254) FRIEDRICH NIETZSCHE, Incredulità nel "monumentum aere perennius", in Umano troppo umano, Opere complete, cit., vol. III, pp. 62-63. Osserva giustamente GYORGY LUKACS (cfr. Nietzsche quale precursore dell'estetica fascista - 1934 - oggi in Contributi alla storia dell'estetica, trad. it. EMILIO PICCO, Milano, Feltrinelli, 1966, p. 324) che "il problema della decadenza" diventa il "problema centrale dell'estetica nietzscheana".

(255) GIUSEPPE PECCHIO, Osservazioni semiserie di un esule in Inghilterra , introduzone GIUSEPPE PREZZOLINI, Lanciano, Carabba, 1913, p. 45.

(256) GIACOMO LEOPARDI,Lettera a Carlo del 31 luglio 1825, Epistolario, cit., vol. I, p. 366.

(257) Lettera a Carlo del 7 settembre 1825, ibid. p. 376.

(258) GIACOMO LEOPARDI, Zibaldone, cit., vol. IV, p. 872. 

(259) GUSTAVE FLAUBERT, Corrispondenza, trad, it. G.B. AGNOLETTI, Lanciano, Carabba, 1931, vol. I, p. 75.


Theorèin - Ottobre 2007